(In copertina: immagine del Concorde in decollo, fonte Airliners.net, copyright Steve Flint)

Benvenuti a bordo di questo nuovo articolo, dove affronteremo il tema della tassazione sulle rendite finanziarie e qual è il suo impatto sulle prestazioni dei nostri portafogli, arrivando anche a condizionare le scelte sulle strategie di investimento.

Questo articolo segue il precedente sul ribilanciamento del portafoglio ed entrambi esplorano gli aspetti più operativi della gestione di un portafoglio per l’investimento. Anche in questo caso, per illustrare l’argomento senza annoiare, userò una similitudine con il mondo aeronautico, raccontando la storia di come il carburante presente all’interno dei serbatoi affronti un percorso ed una trasformazione all’interno dei Rolls-Royce – Snecma Olympus 563 Mk610, i potenti turbogetti che equipaggiavano il leggendario Concorde, per arrivare a generare la spinta necessaria a muovere l’aeromobile. Non tutta l’energia disponibile si trasforma in spinta utile ma una serie di fattori ne riducono l’efficienza; allo stesso modo vedremo come i capitali disponibili per alimentare un portafoglio non potranno essere usati tutti per generare un guadagno, con la tassazione sulle rendite che riduce inevitabilmente l’efficienza del processo.

Per l’analisi dei portafogli utilizzerò il mio strumento “Apache Investing System (AIS)”, un software nato dalla mia esperienza come ingegnere e analista dati, scritto con l’obiettivo di simulare un ampio ventaglio di strategie di investimento, dai più “semplici” portafogli pigri alle più complesse strategie dinamiche. AIS è in grado di gestire la tassazione sulle rendite finanziarie e rendere le simulazioni di portafoglio le più realistiche possibili.

Anche in questo caso, vorrei ringraziare il mio caro amico Eugenio Sacchetta, ingegnere ed esperto di aeronautica che mi ha fornito il materiale e la consulenza per la stesura di questa storia.

Allacciate le cinture e preparatevi alla lettura!

Il Viaggio del Carburante

Volo “BA001”, aeroporto di Heathrow, anni ’80. Il Concorde della British Airways è sulla testata pista, pronto al decollo con destinazione New York. Il muso dell’aeromobile, che si estende per diversi metri oltre la cabina di pilotaggio, è abbassato per permettere una buona visibilità dalla cabina. I 4 motori Rolls-Royce / Snecma Olympus 593 Mk610 sono accesi e girano al minimo, emettendo il suono caratteristico dei motori turbogetto, un fischio ad alta frequenza proveniente dall’ugello di scarico. Tutti gli impianti sono accesi e funzionanti.

La torre di controllo autorizza al decollo, il comandante conferma e avvisa il suo equipaggio di prepararsi e sposta in avanti le manette dei motori, iniziando così il viaggio che da lì a tre ore e mezza avrebbe portato il Concorde dalla livrea bianca a sorvolare l’Oceano Atlantico. Le pompe immerse nei serbatoi del carburante ricevono il comando di aumentare la portata del cherosene, che viene aspirato e spinto con forza nei condotti verso i motori. Lungo il suo percorso il carburante incontra vari componenti come i filtri, necessari per evitare che sporco o altre particelle arrivino al motore, o gli scambiatori di calore, che scaldano il carburante rendendolo più fluido. Nel cuore del motore, il carburante confluisce negli iniettori e qui è nebulizzato in camera di combustione, dove l’incontro con l’aria ad alta pressione porta il carburante a bruciare e a trasformare l’energia chimica in calore, innalzando la temperatura dell’aria stessa.

Il carburante immagazzina al suo interno un certo quantitativo di energia in forma chimica, la quale viene trasformata all’interno del motore per generare la spinta propulsiva e portare il Concorde oltre i 15 km di quota. Ma quanta di questa energia chimica sarà realmente utilizzata? Le pompe necessitano di energia elettrica per spostare il carburante dai serbatoi ai motori, devono vincere le inevitabili perdite di carico che le tubazioni, filtri e scambiatori oppongono al moto del carburante. Gli stessi iniettori richiedono energia per vaporizzare il carburante, mentre la combustione non riesce a estrarre tutta l’energia chimica. Rimarrà sempre una piccola frazione di carburante incombusto o che non brucia nel modo ottimale e le pareti dei combustori non riescono a contenere tutto il calore, il quale passa attraverso le pareti metalliche disperdendosi.

Figura 1 – Schema del motore 2 (disegno dell’autore)

Il viaggio del nostro carburante, ormai trasformato in gas, non è finito. All’uscita del combustore, il gas incontra quello che possiamo definire un vero e proprio pedaggio: le turbine. Queste sono dei componenti meccanici che estraggono energia dal flusso per trasformarla in energia meccanica, necessaria per muovere una lunga serie di organi meccanici che non partecipano attivamente alla spinta – compressori, alternatori, pompe idrauliche, pompe dell’olio – utilizzati a mantenere in vita i controlli di volo, la strumentazione di volo, l’impianto elettrico, il condizionamento, etc…

Superato il valico delle turbine, i gas entrano finalmente nell’ugello, la parte finale del turbogetto che con la sua particolare forma, favorisce una trasformazione adiabatica dell’energia interna del gas in energia cinetica, un processo molto simile a quello di un gas compresso all’interno di una bomboletta spray che, quando fuoriesce, acquista velocità a discapito della sua pressione e temperatura. Anche in questo caso, la trasformazione di energia non è perfetta, attriti sulle pareti dell’ugello e la generazione di turbolenza sottrae energia preziosa al gas.

Siamo finalmente all’uscita dal motore, il nostro gas lascia il motore a velocità supersonica, la forte accelerazione che ha avuto all’interno dell’ugello è servita per spingere in avanti il motore e il Concorde. Di tutta l’energia che il cherosene possedeva quando era all’interno dei serbatoi, solo un 40% circa è impiegata per la spinta vera e propria, il resto o si è dispersa o è servita per alimentare le utenze del Concorde stesso.

Figura 2 – Sezione dell’Olympus 593. Evidente la complessità di un motore aeronautico (fonte https://www.heritageconcorde.com/)

La Fiscalità

Nel paragone tra mondo aeronautico e mondo finanziario, anche i portafogli per l’investimento sono soggetti ad una inefficienza che non permette di sfruttare al massimo i capitali a nostra disposizione. Parliamo dell’imposta sulle rendite finanziare, che si applica ogni volta che c’è un guadagno in conto capitale, note anche come plusvalenza o Capital Gain, e un’eventuale percezione di dividendi pagati da un qualsiasi strumento finanziario.

L’attuale tassazione del Capital Gain in Italia si attestata al 26%, con l’eccezione dei Titoli di Stato che hanno una tassazione agevolata al 12.5%. In pratica, ogni operazione di compravendita di un prodotto finanziario produce un guadagno se il saldo tra il prezzo di vendita e quello di acquisto è positivo, a questa differenza si sottrae un 26% che sarà corrisposta allo Stato Italiano. Per esempio, se compro delle quote di un titolo azionario a 1000€ l’una e le rivendo in una fase successiva a 1100€, ho realizzato una plusvalenza di 100€, di cui 26€ sarà corrisposto all’Agenzia delle Entrate. Allo stesso modo, ogni dividendo erogato da azioni o da fondi, oppure le cedole di una obbligazione o di un certificato, sono “ridotte” di un 26%.

L’opposto della plusvalenza è la minusvalenza, nota anche come Capital Loss, la quale costituisce una perdita monetaria calcolata come differenza negativa tra il prezzo di acquisto e quello di vendita di un prodotto finanziario. Come nell’esempio precedente, se compro per 1000€ e rivendo per 900€, ho realizzato una minusvalenza di 100€. Se le imposte sulle rendite finanziarie fossero simmetriche, allora di fronte ad una perdita lo Stato dovrebbe garantire un rimborso del 26% delle tasse, ma purtroppo non è così: se ho due distinte operazioni di compravendita, una mi ha generato una plusvalenza di 100€ e l’altra una minusvalenza di -100€, il saldo finale non è zero, perché la plusvalenza ha generato una imposta di 26€.

La tassazione è un drenaggio di liquidità che si muove a senso unico dal capitale investito che riduce le opportunità di un portafoglio di generare rendimento, come la sottrazione di energia dal carburante riduce le prestazioni di tutto l’aeromobile.

Per ridurre questa asimmetria che penalizza l’investitore, lo Stato Italiano riconosce per ogni minusvalenza un credito di imposta che può essere utilizzato per pagare le tasse sulle plusvalenze future. Da un punto di vista operativo, chi realizza delle minusvalenze fiscali le inserisce all’interno del proprio zainetto fiscale, uno strumento che registra le minusvalenze e plusvalenze generate dall’intestatario del portafoglio titoli. Tornando al nostro esempio, se opero una compravendita e produco una minusvalenza di 100€, questa perdita è registrata nello zainetto fiscale. Se successivamente effettuo una nuova operazione di compravendita che porta ad una plusvalenza di 100€, questa a sua volta è registrata nello zainetto fiscale e annulla la precedente minusvalenza, evitando così di pagare una imposta non dovuta di 26€.

Fino a qui nulla di particolare, se l’investitore o trader realizza un flusso continuo di minusvalenze e di plusvalenze, sul lungo periodo la tassazione sarà esattamente il 26% del guadagno complessivo, inteso come la differenza tra tutte le plusvalenze e le minusvalenze generate nel tempo. Purtroppo nella realtà non è così, il legislatore italiano ci ha messo del proprio e ha inserito una clausola che rende tutto più difficile:

  • Le minusvalenze presenti nello zainetto fiscale hanno una scadenza, cioè c’è tempo massimo quattro anni per poterle compensare con delle plusvalenze. È una norma che colpisce soprattutto gli investitori a bassa frequenza, i quali effettuano poche operazioni l’anno e che dilatano nel tempo le varie transazioni di compravendita, che vedono “sfumare” dopo solo quattro anni i loro crediti di imposta.
  • Non tutte le plusvalenze recuperano le minusvalenze pregresse e contenute nello zainetto fiscale. Qui risiede una caratteristica tutta italiana, in quanto il fisco distingue gli strumenti finanziari tra quelli che producono “reddito di capitale” e “reddito diverso”, dove solo questi ultimi possono compensare le minusvalenze! Tipici redditi di capitale sono i fondi, le cedole delle obbligazioni e i dividendi azionari, tutti strumenti che non permettono di alleggerire lo zainetto fiscale.

In Italia non c’è solo l’imposta sulle rendite finanziarie, dobbiamo mettere in conto anche l’imposta di bollo e la Tobin Tax, oltre ad una eventuale doppia tassazione se possediamo strumenti quotati su borse estere. Il risultato finale è che in Italia abbiamo una tassazione complessa e articolata, che dipende fortemente dagli strumenti presenti in portafoglio e dalla operatività di acquisto e di vendita, con un chiaro sbilanciamento che favorisce lo Stato Italiano e che penalizza l’investitore, che in molte condizioni si ritrova a dover pagare più di quel 26% che abbiamo visto all’inizio.

Non è lo scopo di questo articolo andare ad affrontare la pianificazione fiscale, cioè l’insieme di tutte le attività che hanno come obiettivo di pagare il giusto allo Stato Italiano, invece la nostra necessità è di simulare la tassazione all’interno di una strategia per l’investimento. Possiamo introdurre delle ipotesi semplificative per il nostro modello fiscale, che riepiloghiamo di seguito:

  • L’imposta sulle rendite finanziare è fissa al 26%, senza distinguere i Titoli di Stato tassati al 12.5%.
  • Le rendite finanziarie sono tutte prodotte da reddito di capitale, senza possibilità di recuperare minusvalenze.
  • Il pagamento delle tasse comporta una riduzione della liquidità disponibile nel portafoglio, che sarà compensato al primo ribilanciamento vendendo parzialmente le quote degli strumenti detenuti in portafoglio.

Questo modello è decisamente penalizzante rispetto alla realtà, per esempio non prevede uno zainetto fiscale e bisogna ricorrere alla vendita degli strumenti in portafoglio per pagare le tasse, però vuol dire che stiamo simulando il caso peggiore e possiamo scoprire il comportamento del nostro portafoglio quando è sotto stress.

Rolls-Royce – Snecma Olympus 593 Mk610

Simulare le situazioni più gravose è una consuetudine quando si progetta un motore aeronautico complesso come l’Olympus 593, il quale con prove al banco o con voli sperimentali è sottoposto alle peggiori situazioni che il motore potrebbe trovare nella normale attività operativa, per saggiarne le caratteristiche e conoscere i reali limiti di impiego.

L’efficienza dell’impianto propulsivo era molto importante per un supersonico come il Concorde, che necessitava di motori potenti ma che consumassero il giusto per non appesantire troppo l’aeromobile. I moderni velivoli commerciali sono equipaggiati con delle silenziose e parsimoniose turboventole (turbofan) ad alto rapporto di diluizione, riconoscibili per l’enorme ventola frontale, che nei modelli più grandi può arrivare fino a tre metri di diametro. Per il Concorde, l’impiego dei turbofan fu scartato subito perché la grande sezione avrebbe portato più svantaggi che vantaggi alle velocità supersoniche, così si preferì adottare il turbogetto, un tipo di motore a reazione privo della ventola anteriore, molto compatto e capace di grandi prestazioni, quello che serviva al Concorde per volare ad alta quota e ad alta velocità.

La scelta del motore ricadde sul Rolls Royce Olympus 593, un nome importante per un turbogetto sviluppato per l’altrettanto importante Avro Vulcan, uno dei primi bombardieri nucleari impiegati dalla Royal Air Force britannica. Il “congedo” dell’Olympus dalla vita militare a quella civile portò alla creazione di una variante studiata insieme alla francese Snecma appositamente per il Concorde: nacque il Rolls-Royce Snecma Olympus 593 Mk 610, capace di volare in modo efficiente a velocità superiori a Mach 2.

Il Mk 610 aveva un diametro di solo 120cm e un peso di circa 3 tonnellate, ma era in grado di sprigionare una spinta di ben 140 tonnellate. Nelle fasi di decollo e per accelerare alla velocità supersonica, l’Olympus era dotato di un post bruciatore, un impianto che permette di incrementare la spinta disponibile di circa 30 tonnellate, che “illuminava” la parte posteriore del motore, come mostrato nella figura 3, attribuendo al Concorde fascino e forza. Queste caratteristiche permettevano al Concorde di avere prestazioni di tutto rispetto, gli equipaggi che si sono alternati negli anni al comando dell’aeromobile anglo-francese hanno sempre apprezzato le doti di “arrampicata” e la facilità di raggiungere la velocità di crociera.

Figura 3 – Immagine del Concorde al decollo visto di spalle (fonte Airliners.net, copyright Ian Nightingale)

Come i portafogli richiedono liquidità per pagare le tasse sulle plusvalenze, così anche la spinta e la potenza dell’Olympus avevano un costo in termini di carburante. Anche se i motori del Concorde erano (e lo sono ancora) i più efficienti tra quelli capaci di volare al doppio della velocità del suono, il loro consumo era molto più alto rispetto ai motori installati sugli aeromobili commerciali della loro epoca. Per poter garantire una autonomia di almeno 6000 km, erano necessari serbatoi capaci di imbarcare 95 tonnellate di kerosene, quando un aeromobile contemporaneo come l’Airbus A300 ne aveva bisogno della metà per coprire la stessa distanza.

Esempi di portafogli

Vediamo ora come la tassazione può modificare le prestazioni di un portafoglio, come esempio usiamo un portafoglio pigro e un portafoglio rotazionale.

Il 60-40 rappresenta uno dei più classici esempi di strategia statica dove il capitale è ripartito in un 60% nella classe azionaria e il restante 40% in quella obbligazionaria. È molto apprezzato dagli investitori statunitensi i quali, a differenza di noi europei, prediligono una quota importante di azionario nel loro portafoglio, non a caso è utilizzato molto spesso come portafoglio di riferimento per valutare tutti gli altri portafogli. Nel passato ha garantito degli ottimi rendimenti ma il paniere ridotto e la strategia statica non garantiscono un adeguato controllo del rischio, pertanto la volatilità non manca e i drawdown possono essere emotivamente impegnativi.

La gestione operativa del 60-40 è molto semplice, ribilanciare solo due prodotti finanziari significa vendere le quote di quello che ha sovraperformato e di comprare le quote dell’altro. Nel nostro caso adotteremo un ETF sullo Europe Stoxx 600 e uno sui Titoli di Stato Eurozona a 10 anni, due prodotti che producono reddito di capitale, perciò il prodotto che sarà venduto in guadagno genererà sempre una tassazione del 26% con un conseguente drenaggio di liquidità, che non potremo utilizzare per comprare le quote del secondo ETF.

Figura 4 – andamento delle Equity Line con e senza tassazione (software AIS)

La situazione è decisamente differente per un portafoglio a strategia dinamica, come il rotazionale “Alpha Sector”. Questa strategia sceglie all’interno di un paniere di indici settoriali mondiali quello che presenta la maggior forza relativa, concentrando su di esso tutto il capitale disponibile per poter ottenere il più alto rendimento atteso. La figura 5 mostra le curve dei rendimenti di “Alpha Sector” con le tasse (linea arancione) e senza tasse (linea azzurra), nella stessa finestra temporale usata nella figura 4. La distanza tra le due curve è più netta rispetto al portafoglio 60-40 e tende ad allargarsi sempre di più all’avanzare del tempo.

Figura 5 – andamento di Alpha Sector, periodo 2012-2023, con e senza tassazione (software AIS)

Il motivo di questa inefficienza è da imputare alle rotazioni da un settore all’altro, che richiedono la vendita completa della posizione e non di una porzione come nel caso del ribilanciamento. Per fare una prova empirica, “zoomiamo” la nostra finestra temporale ad aprile 2021, quando ci fu la rotazione dal settore “Information Technology” al “Consumer Discretionary”. Come riportato nella figura 6, il tech arrivava da una lunga crescita, iniziata con il primo lockdown dell’anno precedente, la sua uscita dal portafoglio ha generato una importante plusvalenza e una conseguente tassazione, che ha praticamente sottratto liquidità al portafoglio e generato uno scalino sulla sua curva (linea gialla), a differenza del caso ideale (linea azzurra) che non risente di questa riduzione di valore.

Figura 6 – andamento di Alpha Sector, periodo 2020-2023, con e senza tassazione (software AIS)

La tabella seguente riporta i rendimenti annualizzati per i portafogli 60-40 e Alpha Sector:

TasseNo TasseEfficienza Fiscale
60-406.0%6.5%92%
Alpha Sector10.9%15.0%73%

“Alpha Sector” perde quasi un 4% all’anno per le tasse, mentre 60-40 lascia solo un mezzo punto percentuale. Se dividiamo il rendimento della versione tassata con quello senza tasse, otteniamo un rapporto che dà una facile indicazione dell’efficienza fiscale della strategia: si deduce che un portafoglio pigro come 60-40 ha una efficienza molto più alta di un portafoglio a strategia dinamica. L’efficienza al 73% di “Alpha Sector” può sembrare bassa, ma non se lo confrontiamo con il 40% dell’Olympus!

Incrementare l’efficienza

Il modello fiscale che abbiamo adottato nel paragrafo precedente ha caratteristiche conservative, l’efficienza fiscale sarebbe più alta se considerassimo il recupero delle minusvalenze con gli ETC e la tassazione al 12.5% per i Titoli di Stato.

C’è modo di incrementare l’efficienza del nostro portafoglio? Senza scomodare società create ad hoc o residenze all’estero, vediamo alcuni accorgimenti utili:

  • Detenere un portafoglio di certificati e/o di obbligazioni acquistate sotto 100 è un ottimo modo di recuperare le minusvalenze, in quanto è un portafoglio che produce solo redditi diversi e si troverebbe nelle condizioni di non pagare le tasse.
  • L’unione fa la forza, se possediamo più strategie che lavorano in parallelo all’interno di un portafoglio, quando generiamo una plusvalenza da una transazione allora la liquidità necessaria per pagare le tasse può arrivare da tutti i sotto-portafogli durante la fase di ribilanciamento, riducendo l’impatto sul singolo sotto-portafoglio.
  • Detenere un cuscinetto di liquidità da utilizzare per il pagamento delle tasse permette di reinvestire la quantità lorda durante le rotazioni e i ribilanciamenti. Se per esempio deteniamo un capitale di 100 unità, possiamo investirne solo 95 e tenerne 5 per le tasse, alimentandolo nel tempo con nuova liquidità che arriva da strumenti che rilasciano cedole, come certificati e obbligazioni.
  • Passare da un regime amministrato ad uno dichiarativo permette di godere di una leggera efficienza fiscale, soprattutto se si dispone di un broker esterno, in quanto il pagamento delle imposte è rimandato all’anno successivo in sede di dichiarazione dei redditi, al netto delle plus e minusvalenze.

Personalmente, la soluzione che preferisco è di dotare il mio portafoglio di uno sotto-portafoglio di certificati che rilasciano cedole: questo portafoglio da un lato è in grado di “erodere” le minusvalenze dello zainetto fiscale, dall’altro di fornire un flusso costante di liquidità per il cuscinetto da usare per pagare le tasse.

Come l’Olympus era dotato di accorgimenti tecnici per incrementare l’efficienza termodinamica, così il nostro portafoglio può essere dotato di strumenti fiscalmente efficienti per volare verso rendimenti superiori.

Chiusura

Quando si progetta un prodotto, per raggiungere gli obiettivi che ci si è posti è necessario formulare delle ipotesi e determinare dei vincoli. I progettisti del Concorde e dell’Olympus ipotizzarono che il prezzo del petrolio sarebbe rimasto basso e con una volatilità contenuta. A noi può sembra una idea folle ma all’epoca non era un azzardo: se vediamo la figura 7, ai prezzi aggiustati per l’inflazione il barile dal 1945 al 1972 era costantemente sotto i 30 dollari e in trend discendente. Era un mercato dominato dagli Stati Uniti e dalle Sette Sorelle, ma la crescita dei loro consumi interni e la maggiore consapevolezza del peso politico dei paesi del Medio Oriente, manifestò tutta la fragilità dei prezzi del greggio: nell’autunno del 1973 il mondo arabo impose un embargo verso i paesi sostenitori della politica israeliana, con un calo drastico dell’offerta che spinse in alto le quotazioni.

Figura 7 – Andamento del prezzo di un barile di petrolio, aggiustato per l’inflazione (fonte Wikipedia)

Venne così a cadere una delle ipotesi principali del Concorde, il prezzo basso del petrolio, acuendo il principale difetto dell’Olympus e penalizzando di fatto tutta l’attività commerciale del Concorde. Quello che qualche anno prima era un problema gestibile, l’elevato consumo di combustibile, all’alba dell’entrata in servizio del Concorde divenne un vincolo insormontabile che impedì la diffusione del Concorde tra le compagnie aeree mondiali.

Questa storia dimostra come sia importante progettare un portafoglio con strategia dinamica che tenga conto della tassazione, non considerarla è come acquistare una automobile senza preoccuparsi dei consumi di carburante. Poiché le imposte sulle rendite finanziarie differiscono da paese a paese, ci potrebbero essere le condizioni che un portafoglio sia profittevole in un paese e inefficiente in un altro. Una caratteristica interessante che aggiunge complessità alle strategie dinamiche e di come sia importante conoscerle per capire se sono adatte o meno al nostro portafoglio.

Atterraggi Felici e Buon Investing!



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